Le Vie del Sale tra storie e leggende

Le Vie del sale, c’è qualcosa di affascinante e misterioso laddove, in una terra come la Liguria, il passo veloce tra mare e appennini cambia repentinamente il paesaggio.

Sapori e profumi che si mischiano insieme alle storie di antichi passaggi, le rotte tortuose che portavano al di là dei monti verso la pianura.

Le “vie del sale”, al plurale perché sono innumerevoli, dall’estremo ponente ligure sino alla Toscana, sono antichi percorsi che un tempo remoto erano i passaggi di comunicazione e di trasporto fondamentale da nord a sud.

In quei sali e scendi di uomini e muli, sono rimaste le tracce, alle volte originali, di storia, musica e gastronomia.


La storia delle vie del sale

Le Vie del sale si istituzionalizzano dopo l’800, quando il Sacro Romano Impero con uno sforzo unitario e amministrativo importante riesce a rendere sicuro il proprio territorio affidandolo alla cura ai diversi feudatari interessati.

È un momento epocale per l’Europa che rivede una prospettiva di crescita dopo secoli di paura, attraversata da tribù barbare nella maggior parte dei casi interessata a depredare. 

Mentre oggi le strade asfaltate percorrono i vari fondovalle che rendevano più agevole e economica la loro costruzione, le vie del sale si inerpicavano su per i monti alla ricerca di una linea più regolare e breve, per consentire ai viaggiatori con un minimo di conoscenza del territorio di orientarsi.


La storia delle “vie del sale” per diversi secoli manterrà intatto il suo significato simbolico fatto allo stesso tempo, di ricchezza, avventura, mistero e paura.


Intanto perché si chiamano “vie del sale”?

Perché il sale fu per lungo tempo sin da epoca romana uno dei principali sistemi di conservazione del cibo (La parola “salario” deriva appunto dalla paga dei soldati romani che era sotto forma di quantità di sale) e costituiva quindi una merce fondamentale e richiestissima.


La sicurezza militare delle vie aveva però un prezzo, quello delle gabelle che si dovevano pagare alle diverse famiglie feudali quando si attraversava il loro territorio.

La più importante di queste era la Malaspina, che in questo modo divenne molto potente e fece di un piccolo paesello sperduto dell’oltre Po pavese come Varzì, un fiorente centro commerciale.


Anche le famiglie genovesi Spinola, Doria e Fieschi controllavano centri e vallate e frequentemente avvenivano scontri militari tra loro, provocati da sconfinamenti o tributi non pagati.

Nonostante tutto, chi saliva per questi sentieri preferiva non pagarle le gabelle e allora si scoprivano altri sentieri, pericolosi e insicuri, esposti a terrificanti torridi e neppure tracciati ma ricordati a memoria dai viaggiatori più esperti che diventarono nel tempo vere e proprie guide delle carovane che con carretti, a dorso di mulo oppure in spalla a seconda della transitabilità affrontavano quelle perigliose vie.

Avevano anche una santa i carrettieri genovesi, si chiamava Limbania, arrivata da Cipro a Genova nel medioevo, protettrice di quegli avventurieri che per guadagno o in alcuni casi per fuggire, affrontavano questi viaggi.


La cultura del viaggio delle vie del sale si è smarrita, nella migliore delle ipotesi restano i percorsi che oggi hanno una grande valenza turistica.

Una delle cose più affascinanti era l'intreccio di lingue e usanze che il passaggio di merci, alimenti e persone generò nei secoli.

Fisarmonica e pifferi tipici strumenti della riviera ligure di ponente portarono melodie che oggi sono familiari nelle campagne e nelle colline che discendono verso Pavia o Piacenza e la lingua ligure si rintraccia, sempre più raramente, sulle alture in pieno territorio piemontese.


Un capitolo a parte, poi, spetta alle acciughe.

La leggenda narra che fossero i discendenti dei temutissimi saraceni che avevano fondato Frassineto (oggi  La Garde-Freinet,) a iniziare a portare quel prodotto povero, ma squisito, verso l’interno aprendo a loro volta sentieri e vie.

Sotto diversi strati di acciughe salate si nascondeva il sale che pagava una gabella obbligatoria, in ogni caso. Le acciughe salate erano a loro volta molto costose.

Fu in questi viaggi faticosi e tribolati, con il freddo e minacciati da mille insidie che questi uomini produssero uno dei piatti più squisiti della cucina piemontese che mantiene le tracce del rapporto con il mare: la bagna càuda. 

Si tratta di un piatto “collettivo” a base di aglio, olio extravergine di oliva e acciughe dissalate lavorate fino a ridurre il tutto in una salsa in cui vengono intinte verdure di stagione.

Nonostante i controlli e la protezione che nei secoli passò dai feudatari al Regno di Sardegna e ai Granducati di Parma e di Piacenza, il rischio di scorrerie violenza per i viaggiatori era sempre presente.

Detto dei contrabbandieri che affrontavano viaggi impervi per eludere i dazi, c’erano poi veri e propri briganti che aspettavano i viandanti sulla sommità dei monti per depredarli.


Il più importante brigante che infestò le alture genovesi fu un tipo con un soprannome per nulla rassicurante “U diaou” (il diavolo”) e “diaoui” divennero tutti i complici della banda.

Al secolo era noto come Giuseppe Musso e dalla fine del ‘700 le sue “gesta” insanguinarono la Valbisagno nella zona di Molassana.

Nel 1800, nel corso del drammatico assedio di Genova, baluardo della resistenza napoleonica, con i suoi uomini diede man forte agli austriaci che avevano bloccato ogni accesso alla città dai monti.

Viene da sé che le merci sequestrate da Musso e da suo fratello Niccolò (“u diaou piccin”) diventavano automaticamente bottino.

Sulla sua figura negli anni successivi circolarono vere e proprie leggende che ne narravano l’indicibile crudeltà (sarebbe stato costume dell’uomo strappare il cuore delle sue vittime ancora vive) e cinismo (avrebbe spesso costretto i suoi prigionieri a uccidersi tra loro), ma non è escluso che queste storie fossero fatte circolare a arte per incutere il terrore sui poveri contadini della vallata.

Ma le insidie non erano finite per i viaggiatori: se alla fine di un lungo estenuante viaggio incontravate sulla vostra strada una taverna dove rifocillarvi e trovare riparo una notte, si poteva incorrere in una terribile morte.

Nella zona di Voltri su quella che era l’antica via del sale, in direzione del Giovo, in località Cannellona, si trova ancora oggi la famigerata “Cà delle anime”.

Si trattava secondo i racconti che si sono tramandati di una trappola mortale.

Alla metà del ‘700 un gruppo di briganti l’aveva rilevata per poter derubare i viandanti che decidevano di passarci la notte. Le stanze erano fornite di passaggi segreti per permettere ai malfattori di entrarvi una volta che l’ospite si era addormentato.

Secondo la leggenda alcuni letti erano vere e proprie macchine mortali e chi vi si addormentava poteva essere trafitto da un pesante palo acuminato che scendeva dal soffitto.

Antiche leggende di cui oggi si è persa la memoria, affiorano ancora vistando le vecchie trattorie che un tempo costellavano le antiche camionali oggi oramai strade più che periferiche.

Paesi abbandonati misteriosamente, case diroccate e antiche insegne di una vita che un tempo pulsava lungo quelle strade, sono quello che resta dei una geografia che fece della strada un luogo permanente di incontro e di cultura, di scambio e di vita.



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